The
tour experience
Come sono capitato in Cina
Sono arrivato in Cina anche per suonare indubbiamente.
Aver conosciuto dei musicisti cinesi che militavano in gruppi
diversi, mi aveva portato ad interessarmi a questo mondo. Forse
perché in Italia non avevo mai avuto un gruppo con cui
componevo brani originali, qualcosa da sentire veramente mio insomma.
Una piccola esperienza con due miei compagni di viaggio in Cina:
si forma una band e si suona con altri gruppi cinesi che si dimostrano
entusiasti della nostra musica. Poi però sono tornato in
Italia per scrivere la tesi, e dopo essermi laureato, ripartire
per la Cina per riprovarci mi è sembrata la cosa giusta
da fare.
Conoscenza membri “Fangbianmian
blues band”
Mi sono diretto a Kunming senza pensarci su
tanto. Quello era il luogo maggiormente legato ai miei ricordi
musicali e lì conoscevo già qualcuno. Infatti, appena
tornato, ho cominciato a provare nel salotto di LiFan, un bravo
bassista cinese con cui ho formato un gruppo (i Minjian Fanke:
il nome non so ancora come tradurlo perché è un
gioco di parole) di cui faccio ancora parte. Nel frattempo però,
per guadagnare qualche yuan, trovo da suonare in un locale abbastanza
“in” per gli standard del posto ed è così
che conosco Elijah, bluesman americano dal grande cuore, con il
quale suono per 2 settimane al “Rhein Bar”. Sam, un
ragazzo inglese che diventerà in seguito il batterista,
lo conoscevo già da tempo perché è uno dei
veterani di Kunming, avendoci passato circa 6 anni. Per un anno
circa ho suonato la chitarra acustica con Elijah in qualche bar
qua e là. Sam suonava le percussioni con me nei Minjian
Fanke. Dopo un anno trascorso a Kunming, un giorno Sam se ne viene
fuori con un ingaggio. Dicono che vogliono quattro occidentali
che si esibiscano, piu’ o meno come pagliacci, all’Expo
Garden, un grandissimo giardino artificiale, meta di molti turisti.
Nel frattempo avevamo provato già qualche volta con Rindy
alla voce. Lui è un amico di infanzia di Elijah che dopo
aver insegnato inglese a Chengdu per quasi un anno, si è
stabilito a Kunming.
Prima
esperienza all’ Expo Garden
Nascono così i “Fangbianmian”
(il nome con cui sono chiamati gli spaghetti istantanei cinesi,
quelli in una scatola di plastica da riempire con dell’acqua
bollente) e partiamo per questa settimana di fantasia e colore
in questo Expo Garden, che non è altro che la Cina in miniatura
da una parte e il resto del mondo dall’altra; assomiglia
un po’ all’Italia in miniatura di Rimini. I Fangbianmian
sono: Rindy alla voce solista e alla chitarra ritmica, Elijah
alla chitarra solista, io al basso e alla seconda voce, Sam alle
percussioni e ai cori. Ci alternavamo in due grandi palchi, con
la gente che passava e voleva farsi le foto con noi; a volte smettevamo
anche di suonare per questo! Si forma quindi un repertorio principalmente
blues, ma con divagazioni, come qualche classico sdolcinato e
soprattutto come le canzoni cinesi. Al pubblico dell’Expo
Garden non interessava un accidente quanto fossimo bravi a suonare
canzoni in inglese di cui non capivano i testi. Solo in un’occasione
ho visto due ragazzi con la maglietta dei Metallica (o degli Iron
Maiden non mi ricordo) che ci hanno ascoltati attentamente quando
suonavamo i brani rock e blues, ma che se ne sono andati immediatamente
quando hanno sentito le prime note di “Yueliang daibiao
wo de xin”.
Come
conquistare il cuore dei cinesi con “Yueliang daibiao wo
de xin”
“Yueliang daibiao wo de xin”, ovvero
“La luna rappresenta il mio cuore”. Una lagna melensa,
una cosa orribile, per cui i cinesi vanno assolutamente pazzi.
Una vecchia canzone, un classico, anche se ultimamente ne ho sentito
una versione rap. Potrebbe essere paragonata a uno dei successi
di Julio Iglesias, cantato però con ancora piu’ pathos.
Il testo è improponibile, ma è qualcosa che si può
immaginare chiaramente, pensando a questo povero ragazzo che risponde
con il titolo della canzone alla ragazza che gli chiede: “ma
quanto mi ami?”. La nostra efficacia nel proporre brani
cinesi andava affinandosi.
Dopo questa esperienza di una settimana durante il periodo della
festa nazionale (prima settimana di ottobre), io continuo a fare
le mie cose e i miei concerti con i Minjian Fanke e un giorno
ci fanno suonare ad un’asta dove vendevano automobili. Inutile
dire che non c’entravamo assolutamente niente con l’ambiente,
ma dopo aver suonato, un tizio mi dà il suo biglietto da
visita e mi dice che è un organizzatore. Io gli lascio
il mio numero di telefono. Qualche giorno dopo mi chiama e mi
dice che ci sarebbe da suonare per una gran riunione in un certo
hotel, ma che vogliono solo stranieri. Ovviamente ho pensato subito
ai ragazzi dei “Fangbianmian”. Non pagavano male,
ma volevano che imparassimo assolutamente una canzone. Questo
tizio mi porta un cd e mi dice che la canzone in questione è
la sigla della “Coors Light”, una birra di cui io
non avevo mai sentito parlare prima, ma gli americani la conoscevano
e mi hanno anche detto che è la piu’ economica che
si può trovare negli U.S.A. E’chiaro che non mi sarei
aspettato di lavorare per la Guinness o la Hoegarden in Cina!
Io ascolto il cd, chiamo il tizio e gli dico che ci potremmo impiegare
dai 3 ai 4 minuti per impararla e che non deve preoccuparsi. Ma
lui insiste nel dirmi che i grandi capi della “Coors Light”
sono intenzionati a sentire la nostra esecuzione a tutti i costi.
Così avvenne il nostro primo contatto con Derek, cantonese
dall’inglese impeccabile e alla dirigenza del settore pubblicitario
della ditta. La nostra esecuzione, svoltasi nel salotto di casa
di Rindy con chitarre acustiche e un piccolo bongo, gli è
piaciuta.
Contratto
Il giorno dopo e quello dopo ancora, suoniamo
durante questa grande riunione, intonando l’inno di una
delle birre piu’ imbevibili dell’universo. Il pubblico
reagisce con applausi compiti e compiaciuti. Ci sono anche degli
stranieri tra la gente che partecipa, i big boss mandati dall’America
a lavorare per il mercato cinese, ma ci guardano con facce che
esprimono il loro dissenso. Dopo esserci fermati per dar spazio
ai gran discorsi dei dirigenti, riprendiamo a suonare qualcosa
in inglese. Applausi contenuti. Ci guardiamo: “are you guys
ready?”. Sguardo d’intesa e via con “Yueliang
daibiao wo de xin”, all’accenno della quale il pubblico
cinese reagisce con boati e ovazioni varie. E’ fatta, ma
noi non lo sappiamo ancora. Due giorni dopo, Eli riceve una telefonata
da Derek che gli dice: “cosa ne pensate di partire per un
tour per la Cina a 12000 yuan a testa al mese, oltre ovviamente
all’accomodation e ai voli?”. La risposta fu unanime:
“Hell yeah!”
The
tour itself
Il tour è cominciato da Kunming, per
questo eravamo molto rilassati. Ci sentivamo appunto sicuri nella
città che conoscevamo meglio in Cina. Ci siamo alternati
tra locali piuttosto piccoli e disco-bar piu’ capienti,
fino al concerto in cui abbiamo salutato la nostra città,
tenutosi al “Cobra”. Questo posto non era né
una discoteca né un bar, qualcosa di ibrido tra i due.
Il nostro concerto fu accolto calorosamente dal pubblico, tanto
che pensammo al futuro come ad una possibilità di diventare
famosi. Ci sbagliavamo. Arrivati a Chengdu in aereo, due loschi
figuri vengono a prenderci e ci portano in quello che avrebbe
dovuto essere il nostro hotel. Andiamo a vedere come sono le stanze
per sicurezza e ci rendiamo conto che se non ci sono topi che
scorrazzano per i corridoi è solo perché stanno
dormendo! Il posto è orribile, ma riusciamo a convincere
i due a portarci in un altro hotel, piu’ decente. Le serate
a Chengdu non ci regalano la gloria che avevamo avuto a Kunming;
sinceramente qui non conosciamo tanta gente, solo due o tre persone,
ciò è dunque inevitabile. Le serate passano abbastanza
in fretta e non c’e’ un gran che da segnalare a parte
una sera in cui un ubriaco a cercato di far rissa con noi salendo
sul palco. Tutto si è risolto senza spargimento di sangue
dopo che il nostro cantante gli ha apostrofato un bel “fuck
you!”. La cucina locale è però pessima: siamo
stati letteralmente salvati da un locale (“Grandma’s”)
che proponeva hamburger e sandwich texani!
Dopo una settimana a Chengdu,prendiamo un altro aereo. Ci dirigiamo
verso sud-est e precisamente a Fuzhou, capoluogo della provincia
del Fujian. Appena scesi dall’aereo però, ci accorgiamo
di essere gli unici rimasti nella sezione arrivi dell’aeroporto.
Tutti gli altri passeggeri hanno avuto qualcuno che è andato
a prenderli. Allora Eli chiama il nostro contatto della Coors
Light il quale chiede: “Ehi, dove siete?”. La nostra
rabbia è comprensibile. Dopo aver atteso per tre ore, ci
sono venuti a prendere e per scusarsi dell’inconveniente
ci hanno portato a mangiare in uno dei ristoranti di pesce piu’
buoni della città. A Fuzhou abbiamo suonato quasi esclusivamente
in discoteche. La prima sera è un tripudio di fischietti
e tubi di plastica gonfiabili che la gente sbatte sui tavoli,
cosa veramente odiosa. Mentre stiamo suonando “Twist and
shout” si scatena una rissa molto violenta, ma noi vediamo
solo masse di gente muoversi disordinatamente e dobbiamo continuare
con la nostra musica. Solo in seguito all’intervento di
poliziotti e buttafuori le acque si calmano. Di Fuzhou ricorderò
per sempre i frutti di mare: deliziosi! Per l’occasione
ho anche insegnato ai membri della band a chiamare “peoci”
le cozze, come si dice per l’appunto in Veneziano.
Lasciamo Fuzhou in furgoncino, perché la prossima meta
(Quanzhou) è a sole tre ore di automobile. Qui suoniamo
solo una sera in una discoteca ed il giorno dopo partiamo, sempre
in macchina, per Xiamen che dista un paio d’ore. Restiamo
in questa città di mare per tre giorni. Approfittiamo della
vicinanza con la spiaggia per andare a fare il bagno e a prendere
il sole, ma rimediamo un’insolazione di cui porto ancora
i segni sulle gambe. Diventiamo per l’occasione quattro
belle aragoste! A Xiamen suoniamo in locali piccoli, ma bellini:
nessuno di questi è una discoteca e la ragazza che ci fa
da mediatrice tra i gestori e la Coors Light è carina e
simpatica. Ci incontriamo con Derek che si è recato qui,
approfittando della vicinanza con Canton, dove lavora e abita,
per vedere se tutto sta procedendo per il verso giusto. Noi lo
rassicuriamo dicendogli che è tutto ok, così lui,
dopo il nostro concerto, ci porta a vedere uno spettacolo molto
osé in cui donne cinesi fanno acrobazie con i loro genitali!
In pratica è una porcata poco divertente, ma l’autista
ci ha detto che quello è l’unico posto in tutta la
Cina in cui si può vedere uno spettacolo del genere, quindi,
per cercare di non metterlo in imbarazzo, non obiettiamo.
La
prossima città è Nanjing (o Nanchino, capitale della
Cina dal 1911 al 1949) che si trova piu’ o meno a 1500 km
da Xiamen, quindi dobbiamo volare. La cosa piu’ fastidiosa
di ogni nostro spostamento era, come è possibile immaginare,
la batteria. Bisognava imballarla con cartone e scotch e riporla
dentro una borsa gigante che mettevano poi nel cargo dell’aereo
al momento del check-in. A Nanchino ci vengono a prendere all’aeroporto,
ma il tipo della Coors Light è un imbecille totale che
verrà poi da noi soprannominato “penis”. Non
fa assolutamente niente per facilitarci il lavoro, non vuole sprecare
troppo tempo per l’organizzazione dei nostri show e ci viene
a prendere sempre in ritardo. A volte non ci dà neanche
il tempo di fare il sound-check, con conseguenze deleterie per
il pubblico, costretto a sentire i fischi assordanti dei nostri
microfoni non regolati! Una delle specie di disco-bar in cui ci
esibiamo si chiama “Orgy bar”, un nome che in un paese
occidentale potrebbe solo designare un locale in cui si praticano
gli scambi di coppia! Rindy ha un amico a Shanghai, che si trova
a due ore di treno, e attraverso lui e altri conosciamo alcuni
bar molto piu’ interessanti dei posti in cui ci esibiamo.
In uno di questi luoghi organizziamo, dopo due settimane di permanenza,
il nostro concerto di addio a Nanchino. Siamo costretti a tenerlo
dopo mezzanotte perché eravamo impegnati all’ “Orgy
bar” prima. Il pubblico è pochissimo, ma ci divertiamo
e suoniamo dando l’anima.
La
mattina dopo l’aereo ci porta a Guangzhou, ovvero Canton.
Viene a prenderci all’aeroporto una ragazza grassottella:
anche lei non sprecherà troppe energie per darci una mano
nell’organizzazione delle serate. L’hotel in cui ci
porta è però bellissimo. Dopo molte lamentele Derek
si è preoccupato di farci trovare camere piu’ accoglienti.
Visto che siamo nella sua città, usciamo anche a cena con
lui e mangiamo del pesce buonissimo. Nei locali di Canton troviamo
ballerine dai corpi molto attraenti, ma questo non significa che
il nostro pubblico sia piu’ attento, o che le nostre condizioni
siano in qualche modo cambiate. La prima sera Elijah non riesce
neanche a collegare la sua chitarra al mixer! Usciamo un paio
di volte con ZhangBo, un architetto di oltre 40 anni che sta con
una ragazzina di 17! Ci aveva visti suonare a Kunming e aveva
lasciato il suo numero di telefono ad Elijah, sapendo che saremmo
passati per Canton. Insieme andiamo a vedere un paio di concerti
di band cinesi originali in due posti diversi: il primo è
un gruppo “metal” ed il secondo si potrebbe definire
“noise”, ma nessuno dei due mi colpisce particolarmente.
Canton dà l’impressione di essere piu’ moderna,
ma passiamo solo una settimana nella città, perché
in quella successiva andiamo a suonare in cittadine e altri paesini
di cui non ricordo tutti i nomi. In uno di questi (Dongguang)
ci avevano dato una stanza per farci una doccia. Io mi ero attardato
un po’ mentre gli altri erano usciti prima di me. Quando
sono andato all’entrata dell’edificio, all’interno
del quale dovevamo suonare, ho chiesto alle cameriere dove fossero
gli “occidentali”. Una mi dice: “Ti porto io”,
così la seguo. Mi apre una stanza dove si canta il karaoke
e dentro vedo quattro pancioni di circa 50 anni accompagnati da
altrettante avvenenti signorine cinesi, molto piu’ giovani
di loro. Anche loro erano occidentali, ma non certo quelli che
stavo cercando. Poi li ho trovati i miei compagni e ci siamo esibiti
su di un palco grandissimo in cui la batteria era posizionata
sopra di noi.
Da Canton voliamo a Shantou, dove restiamo una settimana e suoniamo
solo in discoteche, a parte una sera in cui ci organizziamo una
serata per conto nostro e riusciamo a fare 2000 yuan extra. Questo
posto non è proprio una discoteca, vi incontriamo anche
degli occidentali che insegnano inglese in qualche scuola lì
attorno. Un paio di loro verranno anche a farmi visita a Kunming.
L’ultimo
aereo prima della fine del tour è quello che ci porta a
Wuhan, capoluogo della provincia dello Hubei. Ad accoglierci ci
sono due tipi: il primo impazzisce per le scommesse sugli Europei
di calcio, il secondo vuole assolutamente farci conoscere delle
“China sisters”, termine con il quale chiamava le
prostitute nel suo inglese impossibile. Quest’ultimo è
anche l’autista del furgone che ci porta in giro per Wuhan,
per altri posti dello Hubei e persino nello Hunan, dove arriviamo
a Yueyang dopo sei estenuanti ore di viaggio su strade dissestate.
Qui il locale è bellissimo da vedere perché sembra
una taverna medievale, con tavolacci e sedie in legno grezzo e
dei batocchi di plastica che venivano sbattuti rumorosamente dai
clienti sui tavoli stessi, al posto degli applausi. La sera incontriamo
anche dei ragazzi di Kunming che sono là da un po’di
mesi perché lavorano come musicisti e ballerini; la notte
stessa l’Italia viene eliminata dagli Europei in Portogallo,
nonostante l’inutile vittoria sulla Bulgaria.
La città in cui ci congediamo dai tre mesi di tour si chiama
Yichang, è la seconda dello Hubei ed è proprio sul
fiume Yangtze. Il pesce d’acqua dolce non è come
i frutti di mare, ma ci accompagna nelle nostre cene, non mi dispiace
affatto. L’ultima sera dobbiamo suonare in due posti diversi
con tutte le conseguenze che ciò comporta, vale a dire
montare/smontare gli strumenti e fare il sound-check due volte,
pregando tutti di non toccare il mixer, cosa che non veniva mai
rispettata. Dopo aver finito di suonare e scattato quella foto,
siamo tornati nella discoteca dove ci eravamo esibiti ad inizio
serata ed abbiamo ballato come degli scemi per la contentezza
di aver finito la nostra avventura di tre mesi. Ma il tour stava
riservando ai quattro eroi un finale a sorpresa: il ritorno a
Wuhan. Siamo arrivati all’hotel dell’aeroporto di
Wuhan verso le cinque di mattina, sicuri che ci avessero prenotato
due stanze. Scopriamo invece che non ci sono posti e ci disperiamo
all’idea di restare in piedi tutta la notte per aspettare
l’aereo del giorno dopo. Inoltre i nostri due accompagnatori
prendono commiato da noi dicendoci che non possono farci nulla
e arrivederci alla prossima!
Esausti, arriviamo all’aeroporto alla mattina per volare
verso Kunming. Il TOUR era terminato. Nei nostri cuori resterà
per sempre scritta questa frase: “The legend of the TOUR
was way hardcore!”
Sandro Cagnin
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